Il secondo articolo del blog di settembre è dedicato a un altro artista che ha posto al centro delle sue opere il paesaggio e, soprattutto, le architetture urbane: Daniele Cestari.
Cestari, nel rappresentare i suoi urban landscapes, ha la peculiarità di partire da un concetto filosofico essenziale: il “non luogo”.
Cosa s’intende per “non luogo”?
Il primo ad aver introdotto il neologismo dei “non luoghi” è stato il filosofo e antropologo francese Marc Augé, descrivendoli come tutti quegli spazi che hanno la particolarità di non essere identitari, relazionali e storici.

Sono, quindi, “non luoghi” sia le strutture necessarie per la circolazione delle persone e dei beni (autostrade, svincoli e aeroporti), sia i mezzi di trasporto, che i grandi centri commerciali.

In pratica, Augé intende definire una “nuova” modernità, connotata da specifici fenomeni sociali, culturali, economici, tipici delle società complesse della fine del ventesimo secolo: la surmodernità, strettamente connessa al fenomeno della globalizzazione, che genera un “non luogo”.
I non luoghi sono i nodi e le reti di un mondo senza confini e, dal punto di vista strutturale, risultano identici in qualsiasi punto del globo.

Allora perché non pensare al” non luogo” come a una dimensione sospesa?
E’ questo che vuole fare esattamente il nostro Daniele Cestari.
Il “non luogo “ di Daniele Cestari
Daniele Cestari è un giovane artista ferrarese.
Laureato in architettura, vanta numerose esposizioni in gallerie sia italiane che estere: presso la “Shine Artist Gallery” e la “Albemarle Gallery” di Londra, le “Smelik & Stokking Galleries” di Amsterdam, la “Barbara e Frigerio Contemporary Art” di Milano, la “Sloane Merryl Gallery” di Boston, la “Vernice Arte” di Bari, la “Galleria Stefano Forni” di Bologna.
Alcune opere hanno preso parte a mostre organizzate presso il Museo Magi ‘900 di Bologna.
La particolare formazione ha da subito influenzato la scelta dei temi della sua pittura risolta in chiave urbanistica, assecondando anche la sua predisposizione per lo studio della fotografia.
Intriganti costellazioni di palazzi prendono forza nelle desolate e solitarie periferie decorando, così, le morfologie urbane in cui la figura umana scompare pur restando presente in maniera immanente.
L’artista ha affermato in una mostra allestita presso la Galleria Cloister di Ferrara nel 2016: «le opere rappresentano non-luoghi privi d’identità, ma nei quali desidero si possa comunque leggere una grande presenza umana».
Una presenza quasi inafferrabile, rappresentata dai segni che l’uomo crea e lascia come tracce del suo passaggio.
L’essere qui e ora è simboleggiato in atmosfere rarefatte, sfuggenti, in un senso di movimento perpetuo dato da una forte e libera gestualità.
Nonostante la pittura materica, l’umano appare come annichilito tra edifici e strade, rappresentato attraverso essenziali linee ombrose, sagome astratte.